Tre libri unici e inimitabili che sfidano la realtà e la narrazione
- Elisa Lucchesi
- 12 dic 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Oggi parliamo di tre libri unici e inimitabili: Piranesi di Susanna Clarke vi immergerà in un labirinto surreale, una casa infinita che nasconde misteri senza fine.
Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton è un giallo intricato dove il protagonista rivive lo stesso giorno in corpi diversi, cercando di risolvere un omicidio.
Infine, Storia di un corpo di Daniel Pennac esplora con ironia e profondità la vita di un uomo attraverso il suo corpo, testimone silenzioso dei cambiamenti esistenziali. Tre letture che sfidano ogni aspettativa.

Piranesi di Susanna Clarke, è una narrazione che sfida i confini della realtà e della fantasia, un viaggio profondo e criptico nel labirinto della mente umana.
Il protagonista, Piranesi, vive intrappolato in un mondo che sembra essere sia un paradiso che una prigione, dove ogni stanza del palazzo infinito lo avvolge in una sorta di loop senza fine.
In questo luogo, governato dalle maree e popolato da statue silenziose, l’autrice intesse una riflessione sulle fragilità della mente, il disorientamento psicologico e la condizione di chi è costretto a confrontarsi con la propria solitudine interiore.
Il palazzo, che costituisce l’intero mondo di Piranesi, non è un semplice spazio fisico: è una costruzione che diventa simbolo della mente umana, un intricato labirinto che racchiude la percezione distorta della realtà del protagonista.
Le maree, che si sollevano e si abbassano incessantemente, rappresentano la ciclicità di una vita che, pur nelle sue apparenti meraviglie, non smette mai di rinchiudere Piranesi in una condizione di isolamento, quasi come se il palazzo stesso fosse il riflesso di una mente che non riesce a evadere dalla sua prigione.
L’esplorazione di questo spazio misterioso è allo stesso tempo un atto di conoscenza e una fuga, ma anche una continua ricerca di verità che sfugge, proprio come la memoria che il protagonista ha perduto del suo passato.
Susanna Clarke, ha vissuto anni lontano dai riflettori e ha sofferto di una malattia debilitante, e con Piranesi sembra voler riportare una metafora della sua esperienza di isolamento fisico e psicologico. L’analogia tra il labirinto in cui Piranesi è intrappolato e la malattia di Clarke è palpabile, e il romanzo diventa una sorta di specchio di una mente imprigionata, che, pur cercando di afferrare un senso di realtà, resta persa nelle sue stesse percezioni distorte.
Piranesi, con la sua amnesia e la sua connessione profonda con il palazzo, diventa quindi simbolo di una condizione psicologica universale: la difficoltà di comprendere la realtà quando la propria mente è frammentata o assediata da un mondo interno che non può essere facilmente superato.
Nel romanzo, Piranesi parla frequentemente con "L'Altro", una figura enigmatica che sembra esistere in un’altra dimensione, fuori dal suo mondo. Il dialogo tra loro è enigmatico e mai esplicitamente spiegato, ma la vera natura dell’Altro diventa chiara man mano che la storia si sviluppa: l’Altro è il custode di una realtà che Piranesi non è ancora pronto a comprendere, il portatore di verità che sfidano la sua esistenza stessa. L’Altro è un po' la parte della mente di Piranesi che è ancora lucida, ma che è anche un’altra dimensione di se stesso, una sorta di voce che lo spinge a mettere in discussione tutto ciò che ha sempre accettato come verità.
La sua interazione con l’Altro è la chiave per la sua liberazione: è attraverso questo dialogo che Piranesi comincia a smascherare la verità che ha sempre ignorato, scoprendo, a poco poco, la sua prigionia mentale.
Piranesi diventa così una potente metafora del processo di guarigione, dove la liberazione dalla prigione della mente avviene solo quando si affronta la realtà e si accettano le proprie paure.
La mente di Piranesi è un labirinto, e come ogni labirinto, è difficile trovare l’uscita senza confrontarsi con ciò che ci ha imprigionati.
Romanzo allegorico, fantasy, misterioso e conturbante: Piranesi ci costringe a riflettere su quanto la nostra percezione della realtà possa essere alterata dalle circostanze psicologiche, e su come, talvolta, l'unico modo per liberarci sia affrontare l’Altro, quella parte di noi che ci sfida a vedere la verità oltre le illusioni.
Una lettura che esplora la mente, una riflessione sulla solitudine, sul potere delle illusioni e sulla liberazione che avviene solo quando si affronta la realtà, anche quella più dolorosa.
Un’opera affascinante, psicologicamente complessa e, al contempo, profondamente umana. Un libro che invita il lettore a guardarsi dentro, a esplorare il proprio labirinto interiore, e a cercare, in ultima analisi, la chiave della propria libertà.

Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton è un romanzo che sfida i confini del genere giallo, proponendo una trama avvolta nel mistero e intrisa di suspense.
Un classico del mistero, mescolato agli elementi più intriganti che caratterizzano un thriller psicologico, condito con un pizzico di fantascienza: questo è ciò che Turton ci regala in un'esperienza letta tutta d'un fiato, dove ogni pagina nasconde una nuova sorpresa.
Aiden Bishop si ritrova intrappolato in un circolo vizioso e costretto a rivivere lo stesso giorno - il giorno in cui Evelyn Hardcastle, una giovane donna, viene assassinata - sette volte, ciascuna in un corpo diverso.
Ogni volta, Aiden ha a disposizione solo una porzione limitata di tempo per risolvere il mistero prima che il giorno ricominci, ma con una twist: non può mai ricordare cosa è accaduto nelle vite precedenti. È un gioco di specchi, dove ogni morte è una chiave per accedere a nuove verità, ma anche a nuovi inganni.
La struttura narrativa è unica: non è solo un giallo, è un enigma che si costruisce pezzo per pezzo. Ogni "morte" di Evelyn e ogni corpo che Aiden occupa gli fornisce una nuova prospettiva sugli eventi e sui protagonisti, ma allo stesso tempo aggiunge confusione, nuove domande e dubbi.
Il lettore si trova a fare lo stesso viaggio, cercando di decifrare le piste, ma spesso senza riuscire a cogliere l'intero quadro, proprio come il protagonista.
La ripetizione del giorno, sebbene sembri una trappola, è in realtà un espediente che arricchisce la trama e rende ogni piccolo dettaglio cruciale.
Turton gioca con la temporalità, con le identità, e con il concetto di realtà stessa, creando un gioco narrativo che diventa sempre più intrigante man mano che la storia si sviluppa. Una storia che non solo ti sfida a scoprire il colpevole, ma ti invita a riflettere sulla memoria, sull'identità e sulle ombre che abitano i nostri comportamenti.
Il finale è un colpo di scena inaspettato: non solo risolve il mistero, ma ribalta tutto ciò che avevamo dato per scontato fino a quel momento, chiudendo il cerchio in modo brillante e soddisfacente. Turton porta il lettore a una riflessione più profonda sulle scelte e le conseguenze, sul destino e sul libero arbitrio.
Le sette morti di Evelyn Hardcastle non è un giallo qualsiasi: è un'esperienza narrativa che vi terrà incollati fino all'ultima riga, facendovi riflettere su temi universali in modo assolutamente originale. È un romanzo che sfida il lettore a pensare, a mettersi alla prova e a percorrere con il protagonista una strada tortuosa, fatta di colpi di scena e rivelazioni.

Il 3 agosto 2010, dopo il funerale del padre, Lison riceve un pacco: un diario che il genitore ha scritto dalla sua adolescenza fino agli ultimi giorni di vita. In queste pagine, il corpo del narratore diventa protagonista, esplorato attraverso i sensi: la voce acuta della madre, l'odore della tata Violette, il sapore del caffè di cicoria durante la guerra, il profumo del pane con mosto.
Storia di un corpo di Daniel Pennac è quindi un diario, ma totalmente anticonvenzionale e innovativo. Non c'è spazio per la malinconia o il sentimentalismo: il corpo, nel romanzo, è un oggetto di osservazione, un'entità da analizzare, sezionare e descrivere senza filtri, senza concessioni alla dolcezza della memoria. Pennac, infatti, utilizza il corpo come una macchina che invecchia, una "biografia in carne", che testimonia il passare del tempo senza cedere a nessun tipo di idealizzazione. Pur trattando temi profondamente umani, lo fa con un distacco quasi scientifico, offrendo uno sguardo spietato e a tratti sconcertante sulla condizione fisica dell’essere umano.
Il protagonista è accompagnato, nel corso della sua vita, da una consapevolezza chirurgica del proprio corpo. In questo senso, l’autore si distacca da un approccio emotivo e nostalgico per abbracciare una prospettiva medica, dove il corpo diventa la somma di segni fisici, lesioni, cambiamenti, che raccontano storie di caducità, di malattia e di invecchiamento.
Pennac non ci risparmia descrizioni dure, a tratti ripugnanti, dei cambiamenti che il corpo umano subisce con l’avanzare degli anni. Le rughe, la pelle che perde tonicità, i movimenti che diventano più lenti e faticosi, il corpo che cede alla fatica e alla malattia, sono descritti con dovizia di particolari.
La morte e la decomposizione, lontano da essere rappresentate come un evento romantico, sono affrontate in maniera quasi indifferente, come una parte inevitabile di un processo meccanico.
"Ogni corpo ha il suo prezzo," e questo prezzo si paga in ossa che scricchiolano, in muscoli che non rispondono più, in un respiro che diventa affannoso e in un sistema immunitario che non è più in grado di difenderci dalle aggressioni esterne. La nostra condizione fisica non è più un mistero da esplorare con reverenza, ma una realtà tangibile, a volte disgustosa, che va osservata, accettata e infine lasciata andare.
La corporeità diventa viscerale, un corpo che perde il suo controllo, che si contorce, che puzza, che si deteriora. "Non è più un corpo, è una carcassa".
Il corpo, una volta bello e forte, diventa inevitabilmente un qualcosa che non possiamo più contenere, una “macchina” che arrugginisce, un contenitore di carne destinato al collasso.
Eppure, nonostante questa visione disincantata, Pennac non rinuncia a un certo senso di empatia, ma la sua è una forma di pietà che si fa intima e silenziosa, più che commovente. La morte e il declino sono parte della vita e vanno accettati, ma ciò non impedisce a Pennac di sottolineare l’impossibilità di sfuggirvi. Il corpo è il nostro testimone e la nostra unica vera casa.
Storia di un corpo ci obbliga a guardare la nostra persona da una distanza critica, ad osservare un corpo che invecchia, cede, si deteriora, ma che non smette mai di essere testimone del nostro passaggio sulla Terra.
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