Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia: il romanzo che trasforma il dolore in arte
- Elisa Lucchesi
- 31 gen
- Tempo di lettura: 6 min

Un inventario di oggetti, un ritratto dell’assenza, il romanzo di Michele Ruol, insignito del prestigioso Premio Berto, è un'opera rara, un gioiello narrativo che affronta il tema del lutto con una profondità e una delicatezza capaci di lasciare il segno.
Il premio, noto per celebrare i giovani esordienti che sanno innovare il panorama letterario, ha trovato in Ruol un autore in grado di superare ogni aspettativa.
Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia è una storia indimenticabile, dove la tragedia non rappresenta un punto d'arrivo, ma il preludio di un viaggio verso la trasformazione, la memoria e, infine, la speranza.
"Nella storia di Madre e di Padre ci sono degli avvenimenti che determinano un prima e un dopo. La nascita di Maggiore e poi quella di Minore, ad esempio, o l’incidente che li coinvolge, ma anche episodi apparentemente marginali dirottano le loro esistenze, come le nostre: delle mani che si sfiorano per caso e poi si trattengono appena più del dovuto, o l’apertura casuale di una chat altrui. In questo esordio luminoso e contundente, Michele Ruol ci conduce nell’intimità dei suoi personaggi attraverso le impronte lasciate sugli oggetti della casa in cui abitavano, riuscendo a farci continuamente ricredere sull’idea che ci siamo fatti su ciascuno di loro – e forse anche su quella che abbiamo di noi stessi."
L’idea che sorregge il romanzo è tanto originale quanto potente: un inventario degli oggetti in una casa abbandonata, lentamente inglobata dalla natura. Ogni oggetto descritto non è un semplice testimone del passato, ma una finestra aperta su frammenti di vita, custode di ricordi e memorie spezzate. La casa diventa il teatro di una narrazione intima, in cui Padre e Madre, sopravvissuti a una tragedia che li ha privati dei figli, si muovono tra stanze colme di assenze.
Toccare, osservare, catalogare è per loro un modo per confrontarsi con la perdita, ma anche per scoprire quanto il tempo e il dolore abbiano trasformato i ricordi.
I boccali di birra, il raccoglitore ad anelli, il Chrono Swatch e, soprattutto, il PC restituiscono un’immagine sempre più evanescente dei figli perduti, che a volte faticano persino a riconoscere. L’immagine che si sono creati cozza con quello che i figli erano davvero, ma è un modo per non perderli, per aggrapparsi a una presenza che sfugge tra le dita.
Ruol riesce a rendere questi oggetti più che semplici reliquie: sono presenze vive, che parlano un linguaggio universale fatto di silenzi, mancanze e memorie che non si possono cancellare.
Il romanzo non si limita a una contemplazione statica del passato: il tempo, che tutto travolge, diventa anch'esso protagonista.
Il dolore, inizialmente insuperabile, è mostrato nella sua trasformazione lenta e inevitabile.
Come una clessidra, il romanzo rovescia i granelli della sofferenza, accompagnando i protagonisti – e il lettore – in un percorso che alterna buio e luce, abbandono e ricostruzione.
Al centro del romanzo c’è il rapporto tra Padre e Madre, che si intreccia con l’evoluzione del loro dolore. La tragedia iniziale li avvicina, ma solo per poco: il peso insostenibile della perdita crea una distanza crescente, fatta di incomprensioni, silenzi e un senso di estraneità che sembra incolmabile.
Entrambi cercano di sopravvivere al dolore in modi diversi: Madre si rifugia nell’ossessione per gli oggetti, come se catalogare il passato potesse restituirgli il controllo; Padre si isola, si chiude ermeticamente in sé stesso, inaccessibile.
Erano già diversi mesi che Padre dormiva in quella stanza: ora che era diventata anche il suo luogo di lavoro ci usciva giusto un paio di volte al giorno per mangiare, poco più per andare in bagno. Il resto della casa era diventato un territorio straniero, Madre un’estranea con cui non era più nemmeno sicuro di parlare la stessa lingua. Erano mesi ormai che non avevano più alcun tipo di rapporto: i due spazzolini appoggiati nello stesso bicchiere, la loro maggiore intimità.
Ruol lascia agli oggetti il compito di parlare, di descrivere l’allontanamento inesorabile.
Ed è sempre grazie agli oggetti e i ricordi che li circondano, che i due protagonisti iniziano lentamente a ritrovarsi. È un processo difficile, spesso fatto di passi indietro, ma che li porta, pagina dopo pagina, a una nuova forma di connessione.
Come la foresta che ingloba la casa, il dolore li avvolge e li trasforma, ma alla fine lascia spazio a una possibilità di rinascita. Progressivamente inglobata dalla vegetazione, la casa diventa il punto d’incontro tra la distruzione e la rigenerazione. La natura – che si insinua tra le crepe, cresce inesorabile e avvolge tutto ciò che incontra – è una forza viva, capace di annientare ma anche di ricreare.
Il dolore era sempre stato con lei, l’aveva attesa per tutta la mattina, senza mai andarsene. Ma gran parte del percorso che aveva fatto in quegli anni di terapia, riguardava proprio questo: accettare che il dolore facesse parte della sua vita. Una delle scoperte peggiori che Madre aveva fatto è che di dolore non si muore. Ti abbatte, poi ti aspetta. […]
C’è chi dice che il tempo cura ogni cosa.
Madre non era per niente d’accordo.
Ci sono cose che non si cureranno mai, pensava lavandosi le mani sporche di terriccio – tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare.
Uno stile tutt’altro che da esordiente, ma maturo e capace ci porta attraverso una narrazione, che pur alternando momenti di passato e futuro, non perde mai coerenza.
Ogni frammento, ogni oggetto, ogni ricordo, trova il suo posto, come in un puzzle complesso e armonioso che alla fine restituisce un quadro completo.
La scelta di costruire un romanzo attraverso un inventario potrebbe suggerire staticità, ma Ruol sfugge a questa trappola: il fluire del tempo è percepibile in ogni pagina, il dolore cambia, la memoria evolve, e la vita – per quanto a fatica – va avanti. E se è vero che il tempo acquista una linearità apparente, il passato rimane sempre lì, come una clessidra che misura il presente con la stessa sabbia che si rimesta al suo interno, influenzando ogni scelta, ogni passo verso il futuro. Gli eventi trascorsi si intrecciano con l’evoluzione interiore dei protagonisti, ricordandoci che il presente non è mai indipendente dalla memoria di ciò che è stato.
La ragazza, il viso tempestato di lentiggini, aveva allora preso dalla tasca una clessidra e gliel’aveva data.
Per molti è la metafora del tempo che scorre inesorabile e che non si può fermare: sopra quello che ancora non abbiamo, sotto quello che ormai è passato, le aveva detto.
Però a guardare bene, la sabbia si sposta, ma non se ne va mai. Basta girare la clessidra e il tempo riprende a scorrere.
Leggendo Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia, non ho potuto fare a meno di fare un parallelismo con La casa del mago di Emanuele Trevi (mia recensione QUI).
Riscoprire una persona attraverso i suoi oggetti, conoscerla, rievocarla e cogliere gli aspetti più nascosti: entrambi i romanzi ci insegnano che il passato vive negli oggetti, e che questi diventano un ponte verso una comprensione più profonda di chi eravamo e di chi siamo diventati.
Ruol non ha niente da invidiare a scrittori già affermati per stile, per chiarezza, per sviluppo della trama e dell’intreccio. Il Premio Berto non avrebbe potuto scegliere una voce più intensa e originale da celebrare. Ruol ha saputo trasformare il dolore in arte, regalandoci una storia che, una volta letta, diventa impossibile da dimenticare.
Grazie anche alla Libreria Lovat di Trieste per aver organizzato l'incontro con l'autore.

SULL'AUTORE

Michele Ruol, di professione medico anestesista, scrive per il teatro e ha pubblicato racconti sulle riviste letterarie «Inutile» ed «Effe – Periodico di Altre Narratività», oltre che in raccolte a più voci, come L’amore ai tempi dell’apocalisse (Galaad), a cura di Paolo Zardi, e Il Veneto del futuro (Marsilio), a cura di Alessandro Zangrando. Il testo Betulla, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano per il podcast Abbecedario per il mondo nuovo, è stato pubblicato nel libro omonimo edito da Il Saggiatore. Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia è il suo esordio come autore di narrativa.
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