top of page

La nostra rabbia, Melissa Lucashenko: vita, memoria e resistenza

  • Immagine del redattore: Elisa Lucchesi
    Elisa Lucchesi
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 4 min
Mellisa Lucashenko, La nostra rabbia, lindau, recensione, australia
Mellisa Lucashenko, La nostra rabbia (trad. Thais Siciliano) - Lindau, 448 pp.

La nostra rabbia è un romanzo che intreccia vita quotidiana e storia coloniale, restituendo voce a una comunità aborigena contemporanea.

Vibra di voci, di corpi, di terra, di legami familiari intricati e indissolubili.


L’ingresso in scena di Kerry Salter è memorabile: una Harley Davidson nuova di zecca che ruggisce all’arrivo nella cittadina di Durrongo (luogo fittizio, ma verosimile), all’estremità orientale dell’Australia. Kerry torna per salutare il Nonno, anziano custode della memoria e della cultura del suo popolo. Vive a Brisbane, porta con sé una vita instabile, una relazione spezzata e una rabbia lucida che l’accompagna come una seconda pelle. Il suo ritorno accende immediatamente ciò che a Durrongo non ha mai smesso di ardere.


La famiglia Salter è il cuore del romanzo: una famiglia ampia, rumorosa, disordinata, capace di ferire e di proteggere con la stessa intensità.

Mary La Bella, la madre, incarna una bellezza segnata dal tempo e dal dolore, ancora sospesa nella perdita della figlia maggiore scomparsa vent’anni prima.

Ken, il fratello maggiore, domina gli spazi con una presenza brutale e instabile, mentre suo figlio Donny cresce in un silenzio carico di segnali inquieti.

Black Superman, l’altro fratello, porta con sé un’energia diversa: vive lontano, ha costruito una famiglia a Sydney con il suo compagno, e rappresenta una possibilità di respiro, di movimento, di futuro.

La famiglia diventa lo spazio in cui il trauma si trasmette, si deforma, si perpetua, ma anche il luogo in cui si sviluppano resistenza e solidarietà.


La città di Durrongo emerge come uno spazio carico di tensione. È una cittadina marginale, segnata da povertà, isolamento e conflitti latenti.

Qui la vita scorre tra bar, case sovraffollate, strade polverose e il fiume che attraversa la terra di Nonna Ava, luogo sacro per la famiglia e per l’intera comunità aborigena. Proprio attorno a quest’ansa del fiume prende forma uno dei nuclei centrali del romanzo: il progetto del sindaco Jim Buckley di costruire una prigione su un territorio ancestrale.

La minaccia alla terra risveglia una forza collettiva.

La rabbia diventa linguaggio condiviso, energia politica, strumento di difesa. I Salter si stringono, discutono, litigano, si ricompattano.

La famiglia assume il volto di una comunità più ampia, capace di mobilitarsi per proteggere ciò che conta davvero. La lotta per la terra diventa una lotta per la memoria, per la dignità, per il diritto di esistere secondo le proprie regole.


Anche se letto in traduzione, alcuni termini in slang restano, funzionano come segnali di un altrove culturale che non viene addomesticato del tutto. La scelta di non spiegare tutto, di lasciare zone di opacità, crea un’esperienza di lettura che richiede attenzione e rispetto. Entrare in questo mondo significa accettare di non comprendere immediatamente ogni cosa, di imparare per immersione, di ascoltare.


Kerry è una protagonista straordinaria. È ironica, impulsiva, generosa, arrabbiata, vulnerabile. Porta su di sé il peso delle aspettative familiari e il desiderio feroce di autodeterminazione.

La sua sessualità è vissuta con naturalezza, apertura e curiosità, e contribuisce a rendere il personaggio ancora più complesso.

L’incontro con un uomo bianco, inaspettato e destabilizzante, aggiunge ulteriori sfumature a una storia che rifiuta definizioni rigide e identità chiuse.


Accanto al realismo crudo, il romanzo accoglie elementi di realismo magico con estrema delicatezza.

Gli animali osservano, intervengono, partecipano. I corvi, il fiume, persino uno squalo assumono una presenza simbolica, mai invadente, sempre coerente con la visione del mondo aborigena, in cui la separazione tra umano e naturale perde significato. Tutto è interconnesso, tutto ascolta, tutto ricorda.


La struttura narrativa accompagna il lettore verso una rivelazione potente.

Un segreto familiare, sepolto da decenni, emerge con una forza dirompente.

La sua esplosione emotiva rilegge l’intera storia sotto una nuova luce e restituisce senso a molte delle ferite che attraversano i personaggi.


La nostra rabbia affronta temi duri: violenza domestica, abuso, dipendenza, trauma intergenerazionale, colonialismo. Lo fa con una scrittura diretta, attraversata da umorismo nero, sarcasmo e una vitalità sorprendente.

Il romanzo restituisce un ritratto dell’Australia raramente raccontato.

Un’Australia vista dall’interno, attraverso occhi aborigeni, stanchi, combattivi e arrabbiati.


Il tema del razzismo attraversa ogni livello della narrazione e si manifesta come struttura storica e sociale ancora pienamente operante.

La condizione degli aborigeni viene raccontata attraverso le conseguenze concrete della colonizzazione: espropriazione delle terre, controllo istituzionale, criminalizzazione dei corpi, marginalizzazione economica.

La decisione di edificare una prigione su un territorio sacro assume un valore emblematico, perché concentra in un singolo atto amministrativo secoli di dominio coloniale e di violenza simbolica.

La burocrazia diventa uno strumento di potere, capace di cancellare la memoria collettiva e di ridefinire lo spazio secondo logiche estranee alla cultura aborigena.


Lucashenko mostra come il razzismo non agisca solo attraverso l’ostilità esplicita, ma anche tramite l’indifferenza, il linguaggio tecnico, la presunta neutralità delle scelte politiche.


La vita dei Salter è segnata da questa pressione costante: il carcere come orizzonte ricorrente, l’alcol come risposta diffusa al trauma, la violenza come linguaggio appreso.

Il romanzo collega queste dinamiche a una storia lunga e sistemica, rendendo evidente come il presente derivi direttamente da un passato coloniale mai davvero elaborato.

Allo stesso tempo, La nostra rabbia restituisce agli aborigeni una piena soggettività politica.

I personaggi non vengono rappresentati come vittime passive, ma come individui e comunità capaci di analisi, opposizione e azione collettiva.

La rabbia diventa una forma di consapevolezza, una risposta legittima all’ingiustizia, un’energia che permette di nominare il torto subito e di organizzare la resistenza.

In questo senso il romanzo si colloca chiaramente in una prospettiva anticoloniale, affermando il diritto alla terra, alla memoria e all’autodeterminazione come elementi centrali della narrazione.


La forza più grande di questo libro risiede nella sua capacità di generare empatia.

Il lettore entra nella casa dei Salter, si siede con loro, ascolta, osserva, partecipa.

Si esce dalle pagine con una comprensione più profonda, con uno sguardo più attento, con un rispetto più consapevole.


Consigliato a chi ama la narrativa intensa, coraggiosa, capace di unire politica e intimità, dolore e umorismo, memoria e presente. Un romanzo che parla forte, e che vale la pena ascoltare.

Commenti

Valutazione 0 stelle su 5.
Non ci sono ancora valutazioni

Aggiungi una valutazione
bottom of page