Cronache dalla Repubblica delle fiabe: dimenticate il lieto fine.
- Elisa Lucchesi
- 27 giu
- Tempo di lettura: 2 min

Dimenticate il lieto fine. In Cronache dalla Repubblica delle Fiabe, Marco Improta prende tutto ciò che conosciamo – dai fratelli Grimm alla Disney, passando per la Genesi, Star Wars e Lady Oscar – e lo frulla in un cocktail satirico tanto esilarante quanto velenoso.
Il risultato? Un’antologia di racconti che diverte dal retrogusto amarognolo.
Perché sotto la superficie spassosa, c'è una critica feroce alla società contemporanea.
Il lavoro che ci stritola, la politica che arranca tra incompetenza e teatrino, l’Europa unita ma solo se al sapore di cacio e pepe, l’ambiente ignorato, l’immigrazione trattata come una favola scomoda, la religione riscritta a colpi di console e spritz.
Improta non risparmia niente e nessuno. Nemmeno la religione. Nemmeno Netflix.
I personaggi delle fiabe diventano specchi grotteschi del nostro presente:
• Capitan Uncino ha la crisi di mezza età, rancoroso e nostalgico davanti a una ciurma che guarda SkySport.
• Pinocchio si fa sedurre dallo showbiz in “Mangiafuoco’s Got Talent”, ma vive con l’ansia che lo scopra Striscia la Notizia.
• La Sirenetta baratta la voce per un paio di gambe toniche e un amore da copertina.
• Biancaneve è una ragazza bianchiccia che frigge patatine alla Garbatella, mentre i Sette Nani sono agguerriti sindacalisti sardi.
• Il Piccolo Principe? Un evasore fiscale colto in fallo da quel paraculo di Peter Pan.
• Robin Hood predica bene e razzola malissimo, con le tasche piene e la scusa pronta: “spese di partito”.
Ma il cuore pulsante del libro è la satira, affilata e irresistibile.
Improta non si limita a parodiare: scarnifica, prende i simboli del nostro immaginario collettivo e li svuota dalle illusioni, li riempie di contraddizioni, ipocrisie e tic moderni.
Ogni racconto è una caricatura, ma anche un affondo. E proprio quando pensi che stia solo scherzando, ti rendi conto che ha centrato in pieno il punto.
L'ironia è la chiave di tutto: pungente, dissacrante, mai gratuita.
Si ride eccome, ma di un riso amaro, perché sotto i travestimenti fiabeschi c'è il nostro presente: precario, sfiancato, iperconnesso, disilluso.
E allora ecco Darth Vader che, invece di combattere con la Forza, fa colazione con Nesquik e Coco Pops nella tazza dei Simpson, mentre guarda Babar in pigiama.
Un’immagine apparentemente nonsense, eppure potentissima: perché anche i grandi miti, i supercattivi e gli eroi intergalattici, alla fine, sono solo uomini sotto il casco. Stanchi, demotivati, addomesticati.
Siamo noi. Tutti noi. Eroi con mutui da pagare, antieroi col fiatone, principesse con problemi di sonno e sindacalisti in miniatura. Ma continuiamo a raccontarcela: nelle fiabe tutto funziona, i buoni vincono, i cattivi perdono, e il sistema è giusto. Peccato che nella realtà ci siano appalti truccati, sfruttamento legalizzato, bugie ben confezionate e manager come Mangiafuoco che ingoiano tutto, perfino l'anima.
Improta non ci dà una morale, ma una lente deformante.
Ci mostra come le favole servano ancora, non per addormentarci, ma per svegliarci. E lo fa con una lingua tagliente, viva, personale.
Un viaggio catartico e disilluso tra cliché ribaltati e verità scomode, perfetto per chi ama la satira intelligente e le favole che non profumano di violette e fiordalisi.
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