Premio Campiello, 62^ edizione, in attesa della finalissima
- Elisa Lucchesi
- 20 set 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Domani sera finalissima del Premio Campiello!
Quindi andiamo dritti al fulcro della questione! La meravigliosa cinquina di quest’anno:
Venerdì 31 maggio a Padova è stata selezionata la cinquina finalista della 62^ edizione: la Giuria dei Letterati ha votato tra gli 85 libri ammessi al concorso dal Comitato Tecnico:
al primo turno Antonio Franchini con “Il fuoco che ti porti dentro” (Marsilio) e Emanuele Trevi con “La Casa del Mago” (Ponte alle Grazie), al secondo turno Michele Mari con “Locus Desperatus” (Giulio Einaudi editore), al terzo turno Federica Manzon con “Alma” (Giangiacomo Feltrinelli), al quinto turno Vanni Santoni con “Dilaga ovunque” (Laterza).
Impossibile lasciarsi andare ad analisi e considerazioni senza prima aver accennato alla trama di questi romanzi. Io direi di far parlare direttamente loro, gli autori:
Antonio Franchini, Il fuoco che ti porti dentro
Emanuele Trevi, La casa del mago
Michele Mari, Locus Desperatus
Federica Manzon, Alma
Vanni Santoni, Dilaga ovunque
TEMATICHE RICORRENTI
Se escludiamo Dilaga ovunque, su cui penso si debba fare un discorso a sé, la presenza di elementi comuni a queste opere è innegabile.
Ben tre romanzi su cinque, affrontano il tema genitori-figli.
Siamo italiani, siamo mammoni, il tema della famiglia, il romanzo familiare, meglio ancora se auto-fiction, è un genere che spopola sia in Italia che all’estero.
Ci piace leggere storie sulle famiglie, sui rapporti al loro interno, è un tema che tutti conoscono, su cui tutti possono avere qualcosa da dire, pertanto scadere nella banalità sarebbe stato facilissimo e invece ci troviamo di fronte a opere originali, autentiche, vere.
Antonio Franchini con Il fuoco che ti porti dentro, parla di sua madre, ma lo fa in un modo del tutto inaspettato: il suo non è l’elogio di una madre, che di materno – nell’accezione convenzionale del termine – non ha niente. Franchini ci racconta di Angela Izzo, beneventana di origine, sgherra e discendente dei Sanniti (a suo dire), una donna fiera, forte delle sue opinioni e convinzioni, sebbene opinabili, una donna testarda, caparbia, ostinata. E la descrive proprio come sua madre probabilmente avrebbe voluto: rendendola un personaggio unico, dai tratti caricaturali, indelebile e memorabile. Il rapporto burrascoso di Franchini con sua madre è il motore della storia, ci mostra l’evoluzione di questo personaggio, di come certe caratteristiche le abbia sempre avute, e di come altre lei stessa le abbia esasperate e portate allo stremo, per rendersi sempre più unica e originale agli occhi degli altri.
Ne viene fuori il ritratto di una donna folle, incontrollabile, diffidente e sospettosa, invadente e inopportuna. Una donna che odia e si nutre del suo stesso odio, perché è l’unico sentimento che ha appreso da sua madre ed è l’unico in grado di tramandare. Angela è la personificazione di un vulcano perennemente in procinto di eruttare, un fiume sul punto di straripare e annientare chiunque intralci il suo passaggio.
È un romanzo crudo, forte, ma in grado di strappare dei sorrisi amari.
Il linguaggio è impeccabile, vivido, ricco, che rende Angela talmente vera che sembra uscire dalle pagine ed entrarti dentro.
(Non sono molto brava a nascondere le mie preferenze! Al tempo il mio blog non esisteva, quindi mini recensione QUA)
Emanuele Trevi invece sceglie di parlarci del padre, Mario Trevi. Rapporto certamente meno burrascoso di quello tra Franchini e sua madre, ma comunque insolito e atipico.
Da bambino Emanuele cercava di rimanere nell’ombra, di farsi notare il meno possibile; cercava di stare vicino al padre senza disturbarlo, evitando di interrompere i suoi pensieri.
Anche Mario Trevi quindi è stato un gran personaggio, l’opposto di Angela Izzo: ermetico e taciturno durante la sua vita, non si è mai raccontato, né confidato.
Alla sua morte solo due etichette sembravano descriverlo “eccellente psicologo junghiano” e “guaritore di anime”. Passava infatti le ore chiuso nel suo studio, a ricevere i pazienti e a guarirli “con la sua magia”: le sue parole. Ma suo padre doveva essere più di questo, pertanto Emanuele decide di scoprirlo, di raccontarlo attraverso i suoi oggetti più cari, portatori di storie.
L’idea stessa di voler raccontare una persona scomparsa attraverso dei manufatti è di per sé originale, ma lo è ancora di più nel modo in cui Trevi lo fa: trasforma la casa di suo padre, la casa del Mago, in un museo custode di segreti, tesori e racconti e ci invita a scoprire il padre insieme a lui.
Un romanzo intimo e personale, non sempre facilmente comprensibile e scorrevole, ma capace di emozionare. Recensione completa QUI!
Federica Manzon con Alma, ci porta un ulteriore esempio di un complicato rapporto padre-figlia, ma lo fa spostando l’attenzione sul tema dell’identità, del riconoscersi parte di un qualcosa e di come la famiglia possa a volte giocare un ruolo fondamentale.
Alma, la protagonista, vive a Trieste, città di confine, miscuglio di lingue, etnie, religioni, dove di per sé trovare il proprio posto è difficile. Lo è ancora di più per Alma cha ha una famiglia divisa a metà: nonni di impostazione asburgica, madre che si innamora di uno slavo.
Il padre apolide, visionario, sfuggente, ha una doppia vita: una vita di qua, a Trieste, con la famiglia, e una vita di là, oltre confine. Ed è proprio la vita oltre confine che lo mantiene vivo, che gli regala il fuoco che gli arde negli occhi. Allo scoppio delle guerre balcaniche sarà costretto a tornare di qua e quel fuoco e quella vitalità che lo caratterizzavano, andranno via via spegnendosi, come se la famiglia non fosse in grado di dargli il carburante di cui lui ha bisogno.
Alma ne soffre? Non si capisce, cresce spigolosa e confusa. Di sicuro lotta per trovare il suo posto, cercando di trovare un punto di contatto tra i suoi nonni (la storia) e il suo strano padre (la geografia).
Altra tematica che la Manzon porta alla luce è quella della guerra. Riporta alla nostra attenzione il conflitto dei Balcani degli anni ’90, rendendolo universale e assimilabile a tutte le altre guerre: in particolare crea un parallelismo con lo scontro Russo-Ucraino, e purtroppo e inconsapevolmente al tempo, anche con la questione israeliana.
Recensione completa QUI.
Se siamo rimasti di stucco con la prosa di Franchini e Trevi, beh, davanti a Michele Mari non c’è che da impallidire.
Locus Desperatus è una lettura in cui Michele Mari dà prova della sua capacità letteraria, della sapienza della sua scrittura ricercata, forbita e del suo lessico elegante e puntuale, ricco di latinismi e grecismi. No, non conoscerete tutte le parole al suo interno, perciò armatevi di dizionario.
Ritorna il secondo tema preponderante di questa edizione del Campiello: la casa e gli oggetti.
E anche qua gli oggetti si fanno portatori di storie, ricordi, memorie.
Al protagonista senza volto viene ordinato di lasciare la sua casa e le sue cose, così come stanno: inizierà una corsa contro il tempo, volta mettere in salvo più oggetti possibili, più memorie e ricordi possibili.
Trevi riesuma gli oggetti di una vita, per fare rivivere la figura del padre, la sua personalità, i suoi ricordi; Mari fa l’opposto: il suo protagonista nasconde le sue cose, le custodisce gelosamente, non le vuole abbandonare, come non vuole perdere e abbandonare il suo passato, nè tantomeno condividerlo.
Al contrario di Trevi, dove gli oggetti hanno il delicato potere di rendere la vita ad una persona scomparsa, gli oggetti di Mari hanno una doppia natura, salvifica e dannata: ci aiutano a costruire una personalità, una storia da tramandare, ma con il rischio di incatenarci e possederci completamente.
Un romanzo per niente semplice e decisamente non per tutti.
Ho cercato di decifrarlo facendo un po’ di ricerche e sono convinta che non avrei dovuto iniziare a leggere Mari partendo da quest’opera, ma comunque, QUA la mia recensione.
UNA VOCE FUORI DAL CORO
Non ci resta che parlare di Dilaga Ovunque, di Vanni Santoni.
A metà tra narrativa e saggistica, Santoni vuole ripercorrere la nascita e gli sviluppi della street art. L’argomento è sicuramente interessante ed emerge una conoscenza approfondita della materia.
La scrittura sperimentale e particolare, data anche dall’utilizzo della seconda persona singolare, riesce a catturare il lettore e catapultarlo nel racconto, fargli percepire l’adrenalina del proibito. Nelle prime pagine ci sentiamo un tutt’uno con Cristiana, che all’alba dei suoi 40 anni si ritrova a fare graffiti sui treni durante una spedizione notturna a Barcellona e di conseguenza a mettere in discussione tutte le sue scelte professionali che l’hanno portata a quel punto.
Romanzo anche e soprattutto di critica e di denuncia: per anni la street art è stata definita mero vandalismo urbano, mentre adesso si cerca di addomesticarla e renderla fenomeno da galleria d’arte, dimenticandoci che nasce come forma di espressione, di protesta, di opposizione rispetto alla cultura dominante, di trasgressione.
Onestamente, non nelle mie corde. Lo consiglio a chi è appassionato dell’argomento.
È da prendere come positivo invece, il suo essere rientrato nella cinquina: vincerà il Campiello? No, senza ombra di dubbio. Ma fa da apripista a nuovi generi e nuovi tipi di scrittura.
PRONOSTICI
Tra genitori-figli, oggeti, case, cose, viaggi, libri, auto, fogli di giornale, chi vincerà la 62° edizione del Premio Campiello?
I miei pronostici? La verà battaglia è tra Angela Izzo e Mario Trevi, tra la scomoda madre di Franchini e il bonario e taciturno padre di Trevi.
Di seguito i miei pronostici! Come vorrei che andasse e come credo che andrà.


Lo scopriremo domani sera: la serata avrà inizio alle ore 20.30, verrà trasmessa in diretta televisiva su Rai 5 (al canale 23 della tv) e in streaming dalla piattaforma di Rai Play.
Sarà possibile, inoltre, seguire la cerimonia tramite l'hashtag #PremioCampiello2024 e su Instagram sempre tramite l'account ufficiale @premiocampiello.

IN BOCCA AL LUPO! E CHE VINCA IL MIGLIORE :)
Comments