Alma - Federica Manzon
- Elisa Lucchesi
- 16 set 2024
- Tempo di lettura: 6 min
Almus, alma che nutre, che dà vita.
Alma, il nome della protagonista e del titolo del libro di Federica Manzon, nella Cinquina finalista al Premio Campiello 2024. Un romanzo su identità, confini, guerre e appartenenza. Una storia commovente dai tratti universali.

Alma in 2 minuti, presentato dalla stessa Federica Manzon.
Alma, dopo aver abbandonato Trieste per oscure ragioni, deve farvi ritorno per raccogliere l’eredità lasciata dal padre, un uomo che in realtà odiava il culto del passato, ma che una volta venuto a mancare, la mette nella posizione di dover tornare. Ritornare farà riemergere ricordi, riaffiorare vecchi rancori e paure, dovrà rincontrare Vili, presenza ingombrante del suo passato e del suo presente.
Durerà tre giorni il suo rientro a Trieste, tre giorni che le faranno rivivere un’intera esistenza, la faranno tornare bambina, adolescente e giovane donna, e rivedere Trieste, la vecchia amica con cui ha bruscamente tagliato i ponti.
La meno italiana tra le città, occupata dai nazisti fino al ’45, annessa ai territori Jugoslavi fino al ’54, ufficialmente parte della penisola dal '75.
Una città che per posizione è stata teatro di scontri, bacino di accoglienza di sfollati di guerra, pot-pourri di lingue, religioni, etnie.
Una città la cui anima è stata divisa, frantumata, ricostruita alla bell’e meglio, cercando di far coesistere le diversità.
La famiglia di Alma ne è un esempio: i nonni materni di impostazione asburgica, amanti del Caffè San Marco, dell’ordine e del rigore, delle poesie di Marina Cvetaeva, della Sacher Tort, attaccati al passato e alla storia. Con loro Alma parla tedesco e il dialetto triestino, legge con il nonno il Die Zeit, parla di autori russi con la nonna, viene dunque catapultata nella “Vecchia Europa”, intellettuale, bohémienne, colta.
Per reazione la madre di Alma si innamora di uno s’ciavo, uno che viene da di là:
apolide, visionario, narratore appassionato di straordinarie avventure, amante della musica balcanica, misterioso e conturbante, che al passato non vuole pensarci, vive nel presente, più attaccato alla geografia che alla storia:
Vedi zlato, tutto dipende dalla geografia e non dalla storia. Il passato e la memoria sono sopravvalutati […]. Il passato è come una pietra che ti viene legata alla caviglia. Più pesante è la pietra o più pietre hai intorno ai piedi, meno riesci a nuotare al largo. E le persone che nuotano al largo fanno paura. Essere nati a ovest o a est d’Europa, fa differenza: la geografia ci incatena a un carattere, decide in anticipo chi siamo e l’impressione che faremo sugli altri.
Con i genitori Alma si trasferisce nella casa sul Carso, dove i panni si ammucchiano per terra, i piatti si accumulano nel lavandino. Sono gli anni della legge Basaglia e la madre lavora alla Casa dei Matti, gli anni antecedenti allo scoppio delle guerre Jugoslave.
Anni in cui il padre sparisce per giorni, per andare di là, sull’Isola, per stare vicino a Tito il Maresciallo vestito di bianco con gli occhi da vipera. Credeva nella Jugoslavia suo padre, nell’unione dei popoli. E spesso sull’Isola ci portava anche Alma da bambina, fintanto che non porta a casa Vili, il bambino di Belgrado.
Il problema dell’identità assume nuovi connotati e nuove dimensioni: la Casa sul Carso vive immersa in una completa “schizofrenia linguistica”:
Si passano le parole come manici bollenti di una pentola, da afferrare con cautela.
Alma e Vili crescono insieme, sono bambini durante il periodo di Tito, sperimentato una pace apparente durante la loro adolescenza, partecipando ai cortei antifascisti. Saranno amici, fratelli, amanti e antagonisti. Spettatori dell’inizio delle guerre Jugoslave di tutti gli orrori.
Con lo scoppio del conflitto serbo-croato, scoppia anche il risentimento di Vili, il bisogno di trovare una fazione, di schierarsi con qualcuno, di lottare per qualcosa; la confusione interiore che ha tenuto sopita fino ad allora, lo travolge.
… il suo angosciato bisogno di appartenere a qualcuno, a qualche posto, a una casa. Ditemi chi sono! Che lingua devo parlare? Datemi un posto una volta per tutte, prima che diventi matto.
Trovare un posto, una collocazione: è un romanzo che ciclicamente ci pone sempre le stesse domande, che ci chiede di schierarci: “E tu? Da che parte stai?” Stai di qua, o di là? Est o Ovest?
Una storia che gira intorno al tema dell’identità: linguistica, religiosa, etnica. Un’identità che affonda le radici nella storia, o nella geografia.
Un romanzo bellissimo, che riporta alla luce un conflitto che molti di noi che sono nati e cresciuti di qua non conosciamo bene, o che più semplicemente abbiamo dimenticato.
Federica Manzon parla del conflitto dei Balcani degli anni ‘90, ma ne parla rendendo il concetto stesso di conflitto totalmente universale. Scrive Alma durante il conflitto Russo-Ucraino e ci mostra come le guerre portino sempre agli stessi risultati: l’accento è posto più sui vinti che i vincitori, sui crimini di guerra, le violenze, gli stupri, la censura, il coprifuoco, le famiglie distrutte, gli orfani.
Quando si legge dell’assedio di Vukovar, è un po’ difficile non ricondurlo alla presa di Mariupol'.
Romanzo profetico forse? I crimini delle Aquile Bianche - gruppo serbo paramilitare - non ricordano gli orrori perpetrati dai militari israeliani contro i civili a Gaza, proprio ora, proprio OGGI?
Forse è vero che la storia non insegna, ma che quello che importa è solo la geografia, una geografia che ci definisce e ci incatena.
Federica Manzon in 266 pagine ci parla di identità, guerra e coesistenza e lo fa attraverso due protagoniste principali: Alma e Trieste.
Perché Trieste non è una città come tante, è una città con un’anima, ricca di vita e contraddizioni:
Sono dettagli che nella nazione non capiscono, quando ci provano usano espressioni come crocevia di culture. Crocevia, che parola da tragedia greca!
Come si arriva a Trieste, non è difficile rendersi conto che questa città non abbia avuto uno sviluppo lineare, ma risulti piuttosto un colorato mosaico.
La Chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione, si affaccia sulla cattolicissima Chiesa di Sant’Antonio. Due passi più avanti, in Piazza Unità d’Italia, troviamo il Palazzo della Prefettura, uno dei palazzi più importanti risalenti al dominio asburgico, che conserva ancora oggi tutti gli elementi di derivazione austriaca. Dietro Piazza Unità spunta l’Anfiteatro Romano e Cavana, la città vecchia, che per i turisti, affascinati dalle numerose vinerie e cicchetterie, è quanto di più italiano possa esserci.
A Trieste ci si abbuffa di stinco di maiale e crauti, ma non si disdegnano cevapcici con salsa ajvar, lubianska e salsiccia di Cragno. Sul Carso è più facile trovare osmize che agriturismi, dove si mangiano uova sode, strudel e affettati.
Trieste più che un crocevia di culture è un patchwork di diversi elementi, che coesistono e si completano a vicenda.
Trieste non è italiana, non è slovena, non è austriaca.
È geograficamente una città dell’est, ma che condivide un po’ di storia con l’ovest. Trieste è Trieste.
È la città che dal 2020 definisco “casa”, dove mi sono trasferita totalmente a caso, ma dove ho deciso di rimanere, perché solo in questa città dai mille volti, che non ho ancora del tutto compreso, il mio “nomadismo” avrebbe potuto trovare un po’ di pace.
Grazie Federica ❥
Approfondimenti succulenti:
OSMIZE: non perderti le aperture :) Controlla il portale!!
Miss Claire ci consiglia un po' di deliziosi Buffet Triestini: posso garantire per buona parte!
Gustosi cicchetti e vini buoni? Ecco qua Al Ciketo e Piccola vineria;
Per ammirare Trieste dall'alto: una bella passeggiata sulla Strada Napoleonica, adatta a tutti, grandi e piccini. Ottimo spot per vedere la Barcolana (occhio ad arrivare prestissimo!). Oh c'è pure chi si arrampica da quelle parti eh... me ne tiro fuori!
La copertina di Alma è un'illustrazione di Via Tigor, uno dei meravigliosi scorci della città, ti consiglio di passarci e di dare un'occhiata anche a questi (Io vivevo proprio sopra l'Arco di Riccardo 🫶🏻🥹❤️🩹)
SULL'AUTRICE

Federica Manzon (Pordenone, 1981) ha pubblicato i romanzi Come si dice addio (2008) e Di fama e di sventura (premio Rapallo Carige 2011 e premio Selezione Campiello 2011). Nel 2015 ha curato il volume I mari di Trieste (Bompiani). Con Feltrinelli ha pubblicato La nostalgia degli altri (2017). Vive tra Milano e Trieste.
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