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Locus Desperatus, Michele Mari

  • Immagine del redattore: Elisa Lucchesi
    Elisa Lucchesi
  • 14 set 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 15 set 2024

Finalista al Premio Campiello 2024, con Locus Desperatus, romanzo breve quanto complesso, Michele Mari indaga il nostro subconoscio e l'importanza che inconsapevolmente attribuiamo agli oggetti.

locus desperatus libro copertina
Locus Desperatus, Michele Mari - Einaudi, Supercoralli, 136 pp.

«Un po' thriller metafisico, un po' horror filologico, un po' commedia grottesca, in Locus desperatus l'intreccio è sostituito da un colto rimuginio, le intuizioni sono quasi tutte etimologiche e le parole diventano un'arma, quella che trasforma l'impossibile in possibile e ha così la meglio sul mistero e sull'oblio. Perché la propensione al sapere dà un potere immenso, non solo su chi non sa, ma soprattutto su ciò che (ancora) non si sa».

Nicola H. Cosentino, «La Lettura – Corriere della Sera»


Locus desperatus: in filologia, espressione con cui vengono indicati i passi corrotti di un testo che siano ritenuti insanabili e per i quali si rinuncia quindi a un’integrazione o emendazione congetturale, contrassegnandoli, in sede di edizione critica, con una croce (detta crux desperationis).


Ed è proprio una croce che il protagonista di questo romanzo trova davanti alla porta di casa sua, insieme ad una bizzarra ingiunzione di sfratto: dovrà lasciare casa sua così com’è, con tutte le sue cose, per permettere ad un altro, un ultracorpo, una sconosciuta presenza, facente parte di una non ben identificata organizzazione, di prendere il suo posto in toto.

Poco o nulla sappiamo del protagonista, se non che conduce una vita solitaria ed estremamente abitudinaria e nutre un attaccamento quasi morboso e maniacale nei confronti delle sue cose, collezionate durante l’arco di una vita.


Ridotto così, ero re: delle mie cose, delle mie collezioni, dunque di me, che in quelle collezioni avevo sistematicamente trasferito ogni mia più intima particola.

Dal momento della scoperta di questa stramba organizzazione, e dopo essersi scontrato con alcuni dei suoi misteriosi adepti, il protagonista si prepara ad andare in guerra, a proteggere le sue cose ad ogni costo. Inizia una folle e ossessiva corsa contro il tempo per cercare di mettere in salvo almeno gli oggetti per lui più importanti, quelli che lo identificano.


Nell’intervista con Silvia Nucini, Voce ai libri, Mari ci rivela di aver scritto questo libro in seguito ad una triplice esperienza di trasloco: le case dei suoi genitori e la propria.


Il trasloco è un evento destabilizzante e traumatico per le persone: ci troviamo a dover inscatolare tutta una vita. A prendere decisioni: cosa lascio? cosa porto? La cernita che facciamo delinea la nostra nuova personalità, determina quanto siamo disposti a chiudere con il passato, a lasciar andare.

Staccarsi dagli oggetti materiali sembra un’impresa titanica, è come strappare un pezzo di noi, del nostro passato e della nostra memoria, perché le cose sono testimoni di quello che siamo e di quello che siamo stati:


A furia di circondarvi di cose, amandole, collezionandole, vi ci siete a poco a poco trasferito, regalando loro quote sempre più consistenti della vostra personalità. Le avete personificate e nel contempo vi siete spersonalizzato.

Il nostro astratto protagonista non ha nessuna intenzione di chiudere con il passato: proteggerà i suoi amati libri con spesse reti, ne sposterà alcuni al piano di sotto, altri in una tenuta in campagna. Ma così facendo frantumerà il suo io, la sua essenza e la sua memoria.

I libri perdono i caratteri, le lettere si rimescolano incomprensibilmente, compaiono spazi vuoti. I visi nelle fotografie sono sempre più sfuocati.


Io avevo dato senso e vita alle cose […] immettendovi la mia energia, e loro mi avevano sempre restituito tutto contribuendo alla mia identità e alla mia biografia, modulando i miei pensieri, i miei sogni… Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me, loro non sarebbero state più loro.

Divorato dall’ossessione, arriverà a mettere tutto in discussione, pure sé stesso e ad accusarsi di sdoppiamento al fine dell’autosabotaggio.


Locus Desperatus è un romanzo senza trama, con un protagonista senza volto, perché tutto deve incentrarsi sulle cose e la loro doppia natura, salvifica e dannata.

È un romanzo breve ma complesso, in cui Mari riversa e condensa tutte le sue conoscenze: numerosi sono i rimandi ad altre opere e autori: il protagonista nella sua disperazione ci ricorda i personaggi kafkiani, lo sdoppiamento dell’io il dottor Jekyll e Mr. Hyde.


Anche i pochi personaggi presenti che servono a far proseguire l’intreccio, sono portatori di significati nascosti: Sileno, il polimero antropomorfo che si nutre di vernici, porta il nome del genio tutelare della casa.


Le interpretazioni sono molteplici, la perdita delle cose simboleggia la perdita di identità? O il loro deterioramento rappresenta l’avanzare dell’invecchiamento e quindi la perdita della memoria?

Nel primo caso quanto è giusto concedere alle cose questo controllo, affidargli questa funzione salvifica? E nel secondo, possiamo veramente arginare il processo naturale della vita aggrappandoci con insistenza a dei ricordi che ci stanno lasciando?


Locus Desperatus, una lettura in cui Michele Mari dà prova della sua capacità letteraria, della sapienza della sua scrittura ricercata, forbita e del suo lessico elegante e puntuale, ricco di latinismi e grecismi.

Un romanzo che ci lascia con tanti punti interrogativi e nessuna risposta, ma che ci permette libera interpretazione e ci invita a dare la nostra personale lettura.


SULL'AUTORE

michele mari scrittore

Michele Mari (Milano, 26 dicembre 1955) è scrittore, traduttore, poeta, filologo, docente di letteratura italiana all’Università Statale di Milano. Ai suoi lavori - negli anni molto apprezzati e premiati da pubblico e critica - sono stati assegnati diversi premi letterari, sia in ambito narrativo che per la produzione poetica.

Collabora alle pagine letterarie di Repubblica, dopo aver scritto per anni sul Corriere della Sera e sul Manifesto. Ha tradotto L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, Ritorno all’isola del tesoro di Andrew Motion, Il richiamo della foresta di Jack London, Uomini e topi di John Steinbeck, La macchina del tempo di H. G. Wells e La fattoria degli animali di George Orwell. Ai primi anni '80 risale invece la versione in endecasillabi sciolti del libro XXIV dell’Iliade.

Tra i suoi titoli, Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venía pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell'anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro della torre Eiffel (Einaudi 2002), I demoni e la pasta sfoglia (Quiritta 2004; Cavallo di Ferro 2010), Cento poesie d'amore a Ladyhawke (Einaudi 2007), Verderame (Einaudi 2007), Milano fantasma (edt 2008, in collaborazione con Velasco Vitali), Rosso Floyd (Einaudi 2010), Fantasmagonia (Einaudi 2012). Nel 2014 esce Roderick Duddle, seguito da Austerusher (con Francesco Pernigo, Corraini, 2015), Sogni (Humboldt, 2017), Leggenda privata (Einaudi, 2017), Le maestose rovine di Sferopoli (Einaudi, 2021), Locus desperatus (Einaudi, 2024).


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