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Recensione: Tutta la vita che resta, Roberta Recchia

  • Immagine del redattore: Elisa Lucchesi
    Elisa Lucchesi
  • 5 set 2024
  • Tempo di lettura: 5 min
 

Tutta la vita che resta, lo strabiliante esordio di Roberta Recchia


Copertina libro roberta recchia tutta la vita che resta rizzoli
Roberta Recchia, Tutta la vita che resta - Rizzoli, 400 pp.,

Marisa Bassevi incontra Stelvio Ansaldo negli anni ’50 nella bottega del padre.

Non se ne innamora. Non subito.

Il loro non è un amore esplosivo, ma un amore che nasce lentamente, aumenta giorno dopo giorno, tra alti e bassi, ostacoli, difficoltà e tanto impegno.

Raggiungono l’apice della felicità alla nascita dei loro due figli: Ettore, abile e talentuoso musicista, ed Elisabetta, bella da togliere il fiato, spumeggiante, dal carattere estroverso ed esuberante.

Un quadro perfetto, che ritrae la felicità di una famiglia che ama le cose semplici: il profumo del ciambellone al limone appena sfornato, le passeggiate sulla spiaggia di Torre Domizia, i sorrisi e i teneri abbracci, il piacere di un pasto consumato insieme intorno al tavolo.


Una tela che viene improvvisamente squarciata da una lama affilata.

Elisabetta, appena sedicenne, viene brutalmente uccisa sul litorale laziale in una notte d’estate.

Una tragedia che sconvolgerà per sempre la famiglia Ansaldo.

Non ci sarà più la vita di prima, fatta di tenerezze e risate.

La vita dopo la tragedia sarà solo dolore, disperazione, vuoti incolmabili e notti insonni costellate da incubi, interminabili attese per delle risposte che stentano a saltar fuori.


Cosa è successo a Elisabetta? Chi sono i mostri che l’hanno aggredita, violentata e uccisa? Le indagini procedono a tentoni, tra l’incompetenza delle forze dell’ordine, l’omertà del giudice, i pettegolezzi e le dicerie di paese: Betta era esuberante, Betta la conoscevano tutti, Betta non era seria. Che ci faceva lì a quelle ore? La vittima che diventa responsabile delle sue disgrazie, che viene condannata al posto del suo carnefice.


Ma Elisabetta non era sola. Miriam, sua cugina, si è svegliata accanto a lei la mattina dopo quella tragica notte. Ha visto gli occhi spenti di Betta, le sue ferite. Le stesse ferite che aveva anche lei a cui si aggiungevano le ferite dell’anima, il senso di colpa di essere stata risparmiata. Miriam torna a casa sconvolta, sperando che negando l’accaduto – prima di tutto a sé stessa - quel male e quel dolore svaniranno.


Che vita resta a due genitori a cui è stata strappata brutalmente una figlia? Marisa è a pezzi, si lascia andare, niente ha più senso per lei. Ha paura di dimenticare e si strugge nei sensi di colpa perché:

Aveva scelto di sopravvivere alla sua creatura, che era diventata polvere. Allora, per sfuggire alla dimenticanza, restava chiusa nella sua solitudine. Sceglieva che il suo tempo scorresse tutto fra quelle mura che custodivano il ricordo di Betta.

Stelvio deve farsi forza, tenere duro per entrambi. Ma che cosa è rimasto del loro matrimonio?

La distanza e i silenzi che metteva tra lei e Stelvio erano tutto ciò che le restava per testimoniare il danno irreversibile che aveva devastato le loro esistenze.

Che vita resta a Miriam? La vittima sopravvissuta, che dovrà convivere per sempre con il suo dolore, nel silenzio. È stata risparmiata, ma le sono state strappate dignità, spensieratezza, gioia.

Per lei la memoria era una tortura senza sosta. La perseguitava nei momenti di distrazione, le lacerava il sonno con ricordi che si facevano ogni giorno più nitidi, vicini, andando contro il corso naturale delle cose vissute, che il tempo di norma sbiadisce. La voce roca di uno sconosciuto, un odore, un lampo di luce improvviso, l’attacco di una canzone balneare: tanto bastava per riportarla sulla spiaggia, sotto il cielo nero. Ovunque lei fosse in quel momento, gli eventi si rigeneravano lì, nella sua testa. L’aria le abbandonava i polmoni per schiacciarla contro il terreno, si faceva buio all’improvviso e l’invasore le scavava dentro ancora e ancora, mentre Betta guardava il cielo, nella sua posa da ballerina.

Sarà un incontro fortuito a farla lentamente riemergere dalle sabbie mobili del tormento. Leo, ragazzo di borgata, dal primo momento capisce che in Miriam c’è qualcosa di oscuro, un demone feroce che si nutre delle sue paure. Vuole scoprire la verità, anche se farà male, anche se riporterà a galla le atrocità subite da Miriam. Indagherà a fondo, senza sosta e senza mai abbandonarla, nonostante lei lo respinga e cerchi di allontanarlo più e più volte. Non si darà mai per vinto. Né lui, né la sorella Corallina.

A differenza della madre di Miriam, Emma, fredda e distaccata, che farà di tutto per non vedere, per convincersi che vada tutto bene, che Miriam sia solo un’adolescente problematica come tante. La riempie di regali, psicofarmaci, parole vuote. L’abbandona a sé stessa nella sua prigione dorata.


Saga familiare e romanzo corale che affronta il dolore e la sofferenza in tutte le sue sfaccettature.

Una storia che parla di madri e maternità: madri che hanno perso una figlia e non sanno come andare avanti (e si sentono in colpa a farlo), madri che fanno finta di non vedere ed evitano il confronto, madri presenti e madri assenti.

Madri che lo sono biologicamente, ma senza un minimo di maternità, madri che biologicamente non potranno mai esserlo, ma fanno di tutto per accudire quelli che amano. Ma è anche una storia che parla delle madri dei carnefici: madri attente, che non hanno saputo cogliere il marciume che si stava formando nello sguardo dei propri figli.


E anche qualora la verità venisse a galla, ci fosse un po’ di giustizia, che vita resta a chi è rimasto?

Resta quella vita che si è in grado di ricostruirsi. Ognuno come può. Quella nuova dimensione intima e altalenante in cui si cerca di riappropriarsi dei momenti felici della vita di prima. Una dimensione fatta di momenti di inspiegabili silenzi e improvvisi pianti, ma talvolta popolata da sprazzi di speranza, lampi di gioia e brevi sorrisi.

A volte prendevano un gelato e lo mangiavano silenziosi, perché ogni cucchiaino era una briciola di tristezza, anche se alla fine si guardavano e si dicevano che era buono. In fondo non era detto che la tristezza dovesse essere sempre amara.

Restano le nuove vite, quelle che verranno dopo, per cui bisognerà battersi e lottare. Le nuove vite che andranno protette dai fantasmi del passato.


Tutta la vita che resta è un sorprendente romanzo d’esordio, che non posso dire privo di scivoloni.

C’è dentro tutto, forse c’è dentro troppo.

Mi riferisco in particolare a due tematiche importantissime, collocate verso la fine che quindi non hanno trovato il giusto spazio di evoluzione, risultando così banalmente accennate e risolte in modo sbrigativo.


Ma la carica emotiva di questo romanzo è sorprendente, i sentimenti e le emozioni dei personaggi bucano le pagine e ti ritrovi invischiato in questa vicenda in prima persona.

Ti ritrovi a piangere con Marisa e Stelvio, a consolare Miriam, a tifare per Leo e Corallina.

E vi assicuro che a tutti questi nomi, ci penserete ancora a lungo dopo aver letto l’ultima pagina.


Lunga vita ai borgatari!


 

Oltre la recensione...


Ascolta l'intervista di Roberta Recchia su Spotify: Voce ai libri, un podcast scritto da Silvia Nucini


Guarda l'intervista su Youtube di Parole in Movimento.


 

SULL'AUTRICE


ROBERTA RECCHIA

Roberta Recchia (Roma,1972)

Laureata in Lingue e Letterature Europee e Americane e in Relations Interculturelles et Coopération Internationale. Ha lavorato per molti anni in azienda per poi intraprendere la strada dell’insegnamento, ma si è sempre dedicata alla scrittura. Tutta la vita che resta, in corso di pubblicazione in quattordici Paesi, è il suo primo romanzo. È appassionata di cinema e vive con il suo chihuahua Claudio.

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